SRI LANKA - GENNAIO 2007 Gennaio
2007
(Leggi
anche diario 2009)
Quest’isola,
una grande regione italiana, incastonata nel clamore del continente
asiatico, pieno di contraddizioni, religioni, permeato dei
desideri
occidentali, immerso nel suo passato che lo chiama in continuazione per
non perdere la sua memoria.Le elezioni del novembre 2005 hanno
portato al potere il 73enne Wickremanayake nominato Primo Ministro dal
nuovo Presidente Mahinda Rajapakse.
Il
nuovo presidente, subito dopo la vittoria, si era impegnato di fronte
ai media e alle istituzioni a riavviare immediatamente i negoziati con
i ribelli tamil del Liberation Tigers of Tamil Eelam, che da oltre
venti anni si battono per ottenere l’autonomia dei territori
nordorientali dell’isola, sotto il loro controllo. Ma la nomina a Primo
Ministro di Wickremanayake, da subito, ha significato che il presidente
ha inteso in realtà scegliere la linea dura nel processo di pace
con i
ribelli.
In sostanza la vittoria di
Rajapakse rappresenta un passo indietro sulla strada dell’accordo tra
il Governo e il fronte dei ribelli. La presidentessa uscente, Chandrika
Bandaranaike Kumaratunga, aveva infatti seguito una linea politica
lontana dal nazionalismo cingalese dei suoi predecessori, favorevole
alla riconciliazione nazionale e alle aperture del mercato. Rajapakse
si è invece presentato alle urne alla guida di una coalizione
politica
che comprende al suo interno il People’s Liberation Front (JVP),
una formazione nazionalista cingalese di estrema sinistra, fortemente
avversa ai tamil e favorevole a una soluzione definitiva della
questione manu militari. Il nuovo primo ministro sta usando,
infatti, la linea dura e i quotidiani bombardamenti nei territori
controllati dai Tamil ne sono una eloquente dimostrazione. D’atro canto
i Tamil reagiscono con azioni che, per la prima volta,
coinvolgono
altre zone dell’isola e la popolazione civile.
I
recenti attentati su due autobus pubblici (gennaio 2007), uno in
prossimità della capitale e uno a sud, vicino alla
località turistica
di Hikkaduwa, rappresentano due episodi preoccupanti.Nei venti
anni del conflitto, spesso, le forze governative hanno usato la mano
pesante sui territori controllati dai tamil: estese aree minate,
bombardamenti sulla popolazione civile, uso di armi chimiche, fosse
comuni; d’altro canto l’escalation di violenza si è
concretizzata con
azioni militari verso obiettivi civili da parte del LTTE.Guerra
dentro il paese, conflitto che si percepisce poco e male con gli
occhi
degli opulenti turisti tedeschi e inglesi che ancora affollano le
località turistiche dell’isola. Clima che invece, guardando con
cuore
ed occhi diversi, avverti, vedi, tocchi. Quell’atmosfera fatta di armi
che scintillano ai posti di blocco, numerosissimi anche lungo le strade
più turistiche, gli occhi spauriti dei giovani soldati che
presidiano
questi precari check point, il sorriso che rivolgono agli occidentali
che mai sono bloccati o perquisiti. La sicurezza ostentata dalla gente,
anche da coloro che ci sono più vicini, che viene
dall’affermazione:
“finalmente il nuovo primo ministro ha deciso di risolvere la questione
dei tamil”. La fiducia di tutti che si risolverà con la linea
dura e
con i quotidiani bombardamenti al nord e all’est. Ormai non ci sono
più
negoziati e la parola è alla violenza e alle armi. Questo il
primo
concreto elemento necessario per iniziare a capire l’anima di questa
terra.Una nuova storia, di qualche settimana, da scrivere, sui
nostri progetti e sul significato della nostra presenza nell’isola
delle spezie. Le storie che possiamo raccontare e quelle che possiamo
immaginare, le famiglie che stiamo aiutando, il sorriso dei loro
bambini, la gioia che traspare dagli sguardi e dai sorrisi timidi delle
donne.
Il paese è profondamente segnato dal
conflitto etnico, le
ripercussioni sull’economia e sul turismo sono evidenti. Il tempo dello
tsunami è ormai finito, ma il suo effetto ha impoverito
ulteriormente
le fasce più deboli della popolazione. Le migliaia di
dollari che sono
arrivate per la ricostruzione hanno arricchito le imprese coinvolte,
rimpinguato le casse delle NGO più potenti e più famose,
foraggiato le
lobbies politiche al potere.
In rari e sporadici casi le ricadute sono
state positive e si è aiutato o si sta aiutando chi ha davvero
bisogno.
Purtroppo si assiste allo spreco degli aiuti; aiuti che non arrivano o
arrivano con il contagocce nei territori controllati dai Tamil per
precisa scelta governativa, aiuti che in rari e sporadici
casi le ricadute sono
state positive e si è aiutato o si sta aiutando chi ha davvero
bisogno.
Purtroppo si assiste allo spreco degli
aiuti; aiuti che non
|
arrivano o
arrivano con il contagocce nei territori controllati dai Tamil per
precisa scelta governativa, aiuti che duplicano progetti già
avviati e
che favoriscono due, tre o quattro volte gli stessi soggetti, progetti
sbagliati che risultano inutili; emblematico è il caso di nuove
abitazioni che ad oggi sono ancora vuote perché nessuno vuole
andare a
vivere in contesti abitativi completamente avulsi dalle tradizioni e
dai riferimenti culturali e sociali dell’isola.Ma ecco le
nostre storie. Continua la storia con L. e la sua compagna.
Concepiscono
il loro ruolo come una missione in un paese che sentono e vivono come
ostile, nelle autorità, nella gente, nelle strutture, salvo
pochissime
persone sulle quali ripongono la loro fiducia (sempre e comunque da
verificare). Cultura, tradizioni, civiltà diverse, e L., a
ragione, afferma che il patrimonio culturale dei tamil è
notevolmente
superiore a quello dell’etnia cingalese. Alla fine della dominazione
inglese, da subito si sono innescate dinamiche che ancora oggi permeano
le strutture sociali: la donna lavora ed è patrimonio dell’uomo,
questi
beve e distrugge la famiglia; il dato del 95% della popolazione
maschile alcolizzata la dice lunga. Qualche anno fa pensavo che queste
fossero toscane esagerazioni di L., ma le 24 bambine che vivono
nella sua casa-famiglia confermano questa dolorosa
realtà,
così le famiglie che stiamo aiutando, le donne sole che
incontriamo e
sosteniamo. Strada facendo L. incontra amici, come noi
e come quelli del Trentino Solidale che offrono sostegno e aiuto alla
Mihiri Gedere. Una casa nella quale si respira il clima di fiducia che
dovrebbe esserci in ogni famiglia, dove si avverte la gioia e si vedono
i bambini sorridere felici di essere ri-nati: perché prima non
esistevano, vivendo il loro inferno quotidiano fatto abusi, di
violenze, di dolore e di morte.Oggi rinascono e sorridono alla
vita, alla loro amma e agli amici che visitano e sostengono
Casa Mihiri. Anche qui molte storie che dal dolore pian piano si
avvicinano alla serenità, gioia e ad una nuova vita. Dolore;
quella
delle ultime due arrivate che, dopo 4 mesi, solo in questi giorni sono
riuscite a parlare di nuovo; la sorellina più piccola
dovrà subire un
delicatissimo intervento chirurgico per tentare di risistemare quello
che una bestia (che avrebbe dovuto essere il padre) ha selvaggiamente
distrutto.Gioia; quella dello sguardo e degli occhi di
Pryadarshani (bambina di 12 anni) che segue curiosa la cerimonia della
consegna dei regali che le arrivano dalla famiglia adottiva
(dell’Elba). Riusciremo, con qualche migliaia di euro a sistemare la
mamma vicino alla bambina, le daremo acqua con un pozzo e luce per la
sua casetta di legno; finalmente vicina alla sua bambina che studia
felice nella Mihiri Gedere.Continua la storia con S. Il
Vocation Center di Unawatuna è pronto e funzionante. Il clima
che si
respira è positivo. Ecco il caso in cui, in seguito allo
tsunami, il
progetto realizzato ha risposto alle esigenze. I finanziamenti della
regione e del comprensorio lucchese assicureranno la copertura dei
costi di funzionamento del centro.
Il
Vocation Center di Unawatuna è pronto e funzionante. Il clima
che si
respira è positivo. Ecco il caso in cui, in seguito allo
tsunami, il
progetto realizzato ha risposto alle esigenze. I finanziamenti della
regione e del comprensorio lucchese assicureranno la copertura dei
costi di funzionamento del centro.Tutto questo grazie all’impegno di
S. e dei suoi collaboratori. Qui la cosa è riuscita
perché S.
vive da 10 anni in questo paese e ha seguito costantemente il progetto
da vicino. L’atmosfera che si respira a Unawatuna non è
facile.
Qualsiasi cosa fanno gli occidentale è controllata, monitorata e
giudicata.
La località è una delle mete
turistiche più famose del
paese, e intorno ad essa ruotano interessi commerciali consistenti.
Esistono comunque sacche di povertà e famiglie povere che hanno
bisogno
si sostegno; per rispondere a queste esigenze e all’emergenza nata
dallo tsunami, per offrire educazione e attività adeguate ai
bambini,
S. ha immaginato questo centro; la gestione è molto
impegnativa,
la scelta per l’ammissione dei bambini (l’accesso è
completamente
gratuito) deve essere corretta ed esemplare. E quindi ha
bisogno di
energie e controllo continui, per non sbagliare in una realtà
dove
vieni costantemente giudicato, dove prevalgono invidie ed odio da clan
tribali.Il villaggio di Pilana è immerso nella
vegetazione
tropicale, circondato da piantagioni di thè e risaie. |
La
comunità del
villaggio si è autorganizzata grazie al sostegno di S. e
soprattutto grazie all’opera di Samantha, il tramite locale che
è
divenuto uno stretto collaboratore dell’associazione. Qui non siamo in
una località turistica; la realtà rurale presenta lo
stesso quadro:
degrado sociale, uomini assenti e alcolizzati, donne sole con bambini
da mantenere. Il faticoso lavoro di ricostruzione della convivenza
civile sta dando i primi frutti. Il comitato del villaggio ha iniziato
a presentare dei progetti di lavoro che vengono sostenuti con il
microcredito dalla nostra associazione. E’ stata realizzata una parte
importante di servizi comuni per il villaggio, grazie ai fondi raccolti
da S., a quelli nostri ed ai contributi della Fondazione Pantani.
E’ nata così la scuola materna che accoglie 70 bambini, il
centro di
formazione che ospita corsi di inglese, informatica e altri specifici
per attività artigianali, un consultorio per le donne e una
piccola
infermeria per interventi di pronto soccorso. Abbiamo incontrato le
famiglie che hanno avuto l’approvazione sui progetti di microcredito ed
abbiamo sottoscritto i contratti; quasi tutte donne, progetti motivati
e interessanti che permetteranno di costruire anche il tessuto
produttivo della piccola comunità. Anche qui le cose non sono
state
facili, nei mesi scorsi un giovane è stato ucciso per gelosie
relative
proprio ai progetti, ma la fase più difficile è superata
e S. è
ottimista. Le donne sorridono felici vedendo che la nostra associazione
esiste davvero e che i contributi per i loro progetti si incarnano in
persone reali, che parlano loro dei progetti e della collaborazione con
S., che raccontano di terre lontane dalle quali altre persone
sostengono il loro lavoro e il loro villaggio, per offrire ai propri
figli opportunità di studio di lavoro e di conseguenza un futuro
migliore per questo paese.Le altre storie. Quella di Amal e
della sua collaborazione con noi. E’ molto giovane, ma tutto quello che
avevamo progettato lo scorso anno lo ha realizzato correttamente ed
efficacemente.
La casa del
muratore-giardiniere è pronta, la famiglia è felice, e
decidiamo
insieme ad Amal di comprare la macchina da cucire alla donna:
potrà
lavorare e realizzare piccole borse che noi acquisteremo. Sosterremo
anche l’educazione dei bambini. Lo stesso abbiamo fatto con il
pescatore; l’uomo parla un ottimo inglese e più volte ci
ringrazia
dicendo che abbiamo fatto moltissimo per lui e per la sua famiglia;
viene a salutarci con la moglie, portando i braccialetti che la donna
ricama e che noi utilizzeremo per i contributi.
Rivedo
gli occhi sorridenti, imbarazzati e increduli della moglie di Bandu
quando le abbiamo chiesto di venire con noi a comprare il materiale per
le borse; la gioia nel poter finalmente comprare le scarpe buone per i
suoi bambini e il bel vestitino rosso fiammante per la festa di Uppala,
la figlia che è divenuta donna.
La storia di
Harshi e della sua famiglia. La bambina che è cresciuta,
divenendo più
spigliata e più disinibita; spesso mi chiama nella condivisione
dei
suoi giochi e nei suoi studi, cosa insolita per lei, quasi una
sorpresa, questo baboo (come lei mi chiama) che è stranamente
sempre
disponibile. La sua maturità la porta a metabolizzare il
rapporto che
ha con i nostri bambini, ricordandole i tentativi fatti per
visitare
il nostro paese, quelle promesse, e l’ultimo divieto del padre. Questa
volta si affaccia la consapevolezza del distacco e della paura di non
riuscire a vedere il paese di Irene, che si materializza con il suo
pianto dirotto e incessante che segna una calda sera tropicale.
La
storia di Niluka, delle sue sorelle e dei suoi bambini. Tre giovani
donne, spinte al matrimonio (innamorate o costrette), col miraggio
della libertà, per affrancarsi dalle catene familiari dei
vincoli e
degli obblighi imposti da una cultura arcaica e maschilista. Oggi si
scoprono, dopo pochi mesi, sole, a vivere in case precarie, con uomini
annientati dall’alcool o dalla violenza, costrette a mendicare un
lavoro per non sprofondare nella disperazione e nella miseria e per
sfamare i loro sette bambini. La pudica disponibilità a
mostrarsi e la
gioia che raccontano i lori volti nell’intravedere un altro lato del
mondo e della vita, fatto di speranza e di amore.
Con
il loro sguardo, con il sorriso dei loro bambini, con la promessa della
loro nuova e vera casa, salutiamo ancora una volta, con l’animo in
tumulto, l’isola delle spezie.
Marino G.
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